Intervista Paolo Negro
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Nato a Vicenza, classe ’72, terzino destro, inizia la sua carriera nel calcio professionistico nel Brescia. Nel 1993 arriva alla Lazio dove rimane per 12 stagioni. Ha all’attivo un campionato, tre Coppe Italia, due Supercoppe italiane, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa UEFA. Terzo nella graduatoria assoluta di presenze nella squadra biancazzura e primo per numero di presenze nelle competizioni europee.
Scopriamo qualcosa in più su Paolo Negro, che si definisce innamorato dei colori biancocelesti, uno che la Lazio ce l’ha tatuata sulla pelle.
Come in tutti i racconti, partiamo dall’inizio… Come è stato l’avvicinamento al calcio professionistico e quanti sacrifici hai dovuto sostenere per arrivarci?
Ho passato il provino con il Brescia a 16 anni, era un’età già avanzata a quei tempi e rischiavi di non rientrare più nel giro del calcio che conta. La curiosità è che quello con il Brescia è stato l’ultimo provino che avevo deciso di fare, perché mi ero stancato di sentirmi dire sempre che ero troppo piccolo. Ma andò bene, sono andato via da casa e mi sono trasferito a Brescia. Ho fatto due anni nelle giovanili, il primo anno negli allievi eil secondo anno con la primavera della prima squadra. Staccarmi da casa è stato di una difficoltà atroce. Mi ricordo ancora le prime settimane, quando i miei mi portavano a prendere il treno da Vicenza a Brescia, facevo il duro ma poi in treno la lacrima scendeva.
L’allenatore degli Allievi di quel primo anno a Brescia, che era Giorgio Pellizzaro, è stato molto bravo. Mi ha fatto inserire lentamente nella nuova realtà e piano piano la situazione è migliorata,ho conosciuto meglio la squadra, i miei compagni… noi eravamo in 8 in un appartamento e ognuno aiutava l’altro. Oggi, posso dire che i sacrificisono stati ripagati.
Quando hai iniziato a giocare, chi era il tuo modello? A chi ti ispiravi?
No, non avevo un vero e proprio modello. C’erano ovviamente giocatori che mi piacevano, come tutti i bambini: avevo il poster di Platini in camera, mi piaceva tanto Roberto Baggio, era un grandissimo giocatore.
Io da bambino ho sempre detto che avrei fatto il calciatore. Lo sapevano tutti e ancora adesso me lo ricordano… Ho mantenuto la promessa!
Dopo 2 anni al Brescia, vai al Bologna in Serie A, dove esordisci in prima squadra. Quindi un altro anno al Brescia e poi la Lazio, dove hai trascorso dodici stagioni. Cosa ti ha spinto a rimanere così tanto tempo?
In quegli anni ho avuto tante richieste. Il mio procuratore però sapeva che non mi interessavano. La Lazio ti entra nel cuore subito. È difficile da spiegare, chi non è della Lazio non lo capisce. Ma quando si entra in questo mondo, la Lazio ti prende, ti cattura, ti si tatua sulla pelle. Sono onorato di essere stato 12 anni alla Lazio e ho sempre cercato di dare tutto per quella maglia e per la sua gente. Poi ci possono essere i contrasti, ma quello accade perché c’è lo stesso amore per la squadra. L’impegno c’è sempre stato e la gente se lo ricorda. Io sono affezionatissimo ai tifosi e mi manca tantissimo quell’attimo in cui uscivo in campo e guardavo la mia curva.
Con la Lazio hai vinto moltissimo, ma forse poco rispetto a quanto la squadra di quegli anni avrebbe meritato… ci sono dei rimpianti?
Potevamo sicuramente andare avanti in Champions League, sono sicuro che quella squadra poteva arrivare a giocarsi la finale. Voglio credere che sia stata solo una giornata nera.
Hai militato nella Lazio forse migliore della storia, qual è il calciatore più forte con cui hai giocato?
Della Lazio di quegli anni potrei farti un elenco infinito… la Lazio dello scudetto mette paura.
Ma chi ci ha dato il cambio di mentalità è stato Roberto Mancini, era un grandissimo giocatore ed era un leader, arrivava nello spogliatoio nel momento giusto, era capace di dare la carica giusta.
Con chi invece avresti voluto giocare?
Forse con Ronaldo, il fenomeno. Contro ci ho giocato e so quanto era forte, giocarci insieme sarebbe stato figo.
C’è un ricordo che ancora oggi ti porti nel cuore della tua esperienza alla Lazio, che vorresti rivivere?
Penso alla finale di Supercoppa con il Manchester United, quella vittoria è stata magica. Ma poi penso anche all’attesa dello scudetto, che invece mi ha dato una scarica di adrenalina che forse vorrei rivivere. È stata una cosa indescrivibile. Noieravamo tuttinegli spogliatoi ma io non riuscivo a stare fermo, facevo avanti e indietro tra gli spogliatoi e la palestra, poi andavo verso il campo e tornavo negli spogliatoi, o entravo nella sala a guardare la tv… ho corso più durante quell’attesa che nella partita che avevo appena giocato.
Poi quando è arrivato il fischio finale di Perugia-Juventus abbiamo stappato le bottiglie di champagne e festeggiato negli spogliatoi, ma non eravamo preparati, non pensavamo che la Juventus sarebbe andata a perdere a Perugia, lo speravamo ma in fondo eravamo impreparati!
Parliamo di oggi.Sei stato compagno di squadra di Simone Inzaghi per diverse stagioni, quanto ritrovi dell’Inzaghi giocatore nell’Inzaghi allenatore?
Sinceramente non pensavo che volesse diventare allenatore, ma ha saputo far bene e speriamo che continui così. È sicuramente un bravo ragazzo che sa farsi voler bene. E quando ti fai volere bene, i giocatori giocano anche per te. Ed era così anche quando eravamo giocatori, è sempre stato un bravo ragazzo ed è rimasto umile.
Negli ultimi anni sei spesso stato presente alla festa di fine anno del Lazio Club Milano e tutti noi siamo ovviamente grati di questo affetto e di questa vicinanza. Cosa rappresenta per te questo evento?
Io vi voglio bene, veramente! Che ci sia un Lazio Club a Milano è una cosa bellissima, così come il fatto che voi pensiate a me ed è sempre un piacere stare con voi.
Un saluto a tutti i soci del Lazio Club Milano.
Beh, l’ho appena detto… vi voglio davvero tanto bene!
Intervista di Martina TAMANTI a Paolo NEGRO
Autorizzazione alla pubblicazione concessa da Paolo Negro